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Cosa succede se nel corso di scavi condotti in lavori di edilizia privata si rinvengono testimonianze archeologiche?

È necessario avvisare entro 24 ore la Soprintendenza referente per il territorio, in modo che possa intervenire tempestivamente per recuperare tutti i dati a livello archeologico e consentire al più presto il prosieguo delle operazioni edilizie, senza danneggiare il patrimonio culturale. La Soprintendenza di Novara è competente per le province di Novara, Biella, Vercelli e il Verbano-Cusio-Ossola.

Chiunque non provveda a segnalare la scoperta di eventuali reperti, manufatti o stratigrafie archeologiche è punibile con l'arresto fino ad un anno e una ammenda fino a 3.099 Euro, come previsto dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004 e s.m.i., artt. 90 e 175).

Che cos'è l'archeologia preventiva?

L'archeologia preventiva consiste nella ricerca preliminare alla realizzazione di un'opera pubblica o di pubblico interesse, come prescritto dall'art. 25 del cosiddetto Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. n. 50/2016 e s.m.i.), per verificare la compatibilità del progetto con l'eventuale patrimonio archeologico sepolto.

La committenza dell'opera pubblica presenta alla Soprintendenza competente per territorio il progetto di fattibilità o un suo stralcio sufficiente ai fini archeologici, insieme ad una relazione detta di VPIA (Verifica Preventiva dell'Interesse Archeologico), che illustra gli esiti delle indagini archeologiche preliminari: lo studio del territorio dal punto di vista storico e geomorfologico, la raccolta dei dati bibliografici, cartografici e d'archivio, la fotointerpretazione, le ricognizioni autoptiche sull'area oggetto dell'intervento. Sulla base dell'analisi combinata di tutte queste informazioni, la relazione di VPIA definisce il grado di rischio archeologico. Questo documento può essere redatto esclusivamente dagli archeologi in possesso di diploma di specializzazione o dottorato di ricerca in archeologia oppure dai dipartimenti archeologici delle università.

Sulla base degli elaborati ricevuti, la Soprintendenza decide se è necessario o meno avviare la procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico (illustrata dall'art. 25, commi 8 e 12 del D.Lgs. n. 50/2016 e s.m.i.) mediante l'esecuzione di saggi, sondaggi o scavi in estensione sotto la propria direzione scientifica, con oneri a carico della stazione appaltante.

È legittimo per un privato cittadino possedere reperti archeologici?

Sì, se gli oggetti provengono da una attività di scavo svolta prima del 1909 oppure se gli stessi sono stati regolarmente acquistati sul mercato antiquario. In assenza di documentazione che certifichi questi requisiti, si presume invece che i beni appartengano allo Stato. Infatti, il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004 e s.m.i.) all'art. 91, comma 1, afferma che:

«Le cose indicate nell'articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato», mentre la consolidata giurisprudenza di legittimità specifica a sua volta che:

«I beni archeologici presenti in Italia si presumono, salvo prova contraria gravante sul privato che ne rivendichi la proprietà, provenienti dal sottosuolo o dai fondali marini italiani e conseguentemente appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato» (Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 10303 del 26 aprile 2017).

Come mi devo comportare se eredito un reperto archeologico?

Se i beni ereditati sono "vincolati", cioè se il MiBACT ne ha dichiarato l'interesse culturale con un provvedimento scritto, occorre informare il Ministero qualora li si voglia vendere (art. 60 D.Lgs. n. 42/2004 e s.m.i.) o portare temporaneamente fuori dall'Italia (artt. 65-67). Tuttavia, dal momento che, come abbiamo visto, i reperti archeologici presenti in Italia si presumono provenienti dal sottosuolo o dai fondali marini italiani e quindi di proprietà statale, spetterà al possessore dimostrarne la proprietà: la trasmissione per via ereditaria e la provenienza da uno scavo effettuato prima dell'entrata in vigore della legge a tutela dei beni culturali (L. 20 giugno 1909, n. 364). In caso contrario, occorre restituire il bene allo Stato rivolgendosi alla Soprintendenza, ai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale o a un ente museale presente sul territorio.

Come si può riconoscere un reperto archeologico autentico da una riproduzione?

Occorre una buona conoscenza degli oggetti che vengono imitati: forma, decorazione, materiali, tecnica, stile, dettagli. I falsi presentano solitamente aspetti incoerenti tra loro oppure ispirati a originali diversi (ad esempio la decorazione copiata da un vaso e la forma di un altro che però sono incompatibili per cronologia o ambito culturale). All'oggetto vengono talora applicate incrostazioni che ne suggeriscano la secolare permanenza nel terreno, ma fortunatamente è piuttosto agevole distinguere queste concrezioni artificiali da quelle di origine naturale. Le analisi archeometriche sono di grande aiuto nell'identificazione dei falsi, come ad esempio la termoluminescenza nel caso della ceramica.

I volontari possono partecipare a uno scavo archeologico?

L'attività di scavo archeologico è riservata al MiBACT, che può però rilasciare apposita concessione di scavo a soggetti pubblici o privati (artt. 88-89 del D.Lgs. 42/2004 e s.m.i.).

La Legge n. 110 del 22 luglio 2014 ha formalizzato il profilo professionale dei lavoratori che operano sui beni culturali, tra i quali gli archeologi. Come chiarito dalla circolare della Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio n. 4/2019, possono partecipare agli scavi archeologici laureati o studenti universitari in discipline archeologiche o affini o integrative (quali ad esempio geoarcheologia, archeozoologia, paleobotanica, ecc.). Soggetti diversi da costoro, previo accordo formalizzato, possono collaborare ad attività collaterali o prestare assistenza allo scavo a scopo didattico.

I campi estivi e le cosiddette Summer School possono essere condotti in regime di concessione solamente se organizzati senza fine di lucro e con partecipanti archeologi o studenti di archeologia.

Che cosa devo fare per ottenere l’autorizzazione per un restauro su di un’opera mobile sottoposta alle leggi di tutela?

L’autorizzazione, ai sensi dell’art. 21 del D.L. 42/2004, deve essere richiesta dal proprietario o dal detentore legale del bene: la richiesta dev’essere corredata da un progetto d’intervento dettagliato e redatto da un restauratore qualificato (D.M. 294/2000, art. 7; D. L. 50/2016; D. L. 30/2004, art. 6); nella richiesta deve essere indicato anche il nominativo del restauratore che effettuerà i lavori per permettere alla Soprintendenza di valutarne l’idoneità (D.L. 42/2004, art. 29, commi 6-7; D. M. 294/2000; D. M. 420/2001). Se il bene è di proprietà ecclesiastica, la richiesta, ai sensi del concordato fra la Chiesa Cattolica e lo Stato Italiano, deve essere inoltrata esclusivamente attraverso l’Ufficio Beni Culturali della Curia di competenza che provvederà a rilasciare, secondo le proprie procedure, il suo nulla osta: i parroci e i restauratori non possono quindi inoltrare direttamente alla Soprintendenza le richieste di autorizzazione.
La Soprintendenza che può chiedere l’adeguamento del progetto o della scheda tecnica e rilasciare prescrizioni, provvede a rilasciare l’autorizzazione all’esecuzione dei lavori oppure esprime un motivato diniego: si ricorda dunque di leggere con attenzione e in ogni sua parte la risposta all’istanza.

Questa procedura vale anche per le opere mobili di proprietà privata sottoposte a vincolo?

Sì. Si ricorda inoltre che, sempre ai sensi dell’art. 21 del D.L. 42/2004, è necessaria l’autorizzazione anche per gli spostamenti e per le movimentazioni di qualsiasi genere (es. un’asta, una fiera antiquaria, una mostra, un trasferimento da una residenza a un’altra, etc.). 

I lavori sono conclusi: che cosa debbo fare?

Ai sensi dell’art. 102, comma 9, del D. L. 50/2016 (per quanto riguarda i lavori pubblici) e delle prescrizioni della Carta del Restauro, alla Soprintendenza deve essere trasmessa la documentazione sull’intervento svolto: per garantire la completezza delle informazioni, ci si deve attenere a quanto disposto dal Regolamento per il versamento della documentazione all’Archivio Restauri

Per ragioni di studio debbo consultare gli archivi della Soprintendenza: come fare?

È necessario scaricare il modulo e rimandarlo, compilato in ogni sua parte, via pec (o portarlo personalmente) alla Soprintendenza che, appena possibile, provvederà poi a fissare un appuntamento per la consultazione dei fascicoli: occorre tenere presente che,  a causa della riorganizzazione degli uffici ministeriali, gli archivi sono dislocati in sedi diverse. Gli studenti universitari dovranno indicare il titolo della tesi e il relatore. Le richieste devono tenere conto della differente struttura delle Soprintendenze confluite nell'odierno Istituto (Storico-artistica, Architettonica, Archeologica) ed essere, per quanto possibile, precise e circostanziate. Eventuali altre ricerche più generali o complesse devono essere direttamente concordate con l'Ufficio.

 

 

 

 

 

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